domenica 16 dicembre 2007

Pena di Morte: Contro i precetti dell'Islàm

In nome di Allàh il Misericordioso, il Clementissimo


L’espressione “Pena capitale” indica l’esecuzione della sentenza di condanna morte emessa da una Autorità giudiziaria nei confronti dell’imputato di un crimine, per cui il Codice penale commina la pena morte. L’esecuzione di una condanna a morte come inflizione di una pena è concettualmente estranea all’ordinamento dello Stato islamocratico. Infatti, sia nel Sublime Corano che nella Nobile Sunna del Profeta – che Allàh Lo Benedica e Lo Abbia in Gloria – non si trova l’espressione pena di morte, ma, per il medesimo evento, troviamo il termine giazà' cioè di corrispettivo. La parola pena definisce una sofferenza fisica o morale, mentre la parola ricompensa ha tutt’altra significato. Da qui partiamo per fare una breve introduzione sul alcune caratteristiche dello Stato islamocratico. Questo tipo di stato è, per definizione, lo Stato governato mediante norme prescritte da Allàh l’Altissimo mediante la Sua Parola, che si concretizza nel Suo Libro, il Sublime Corano; e mediante la Sunna del Profeta Mohammad - che Allàh lo Benedica e lo Abbia in Gloria, in quanto investito da Allàh l’Altissimo di un autorità magistrale. L’essenza di queste norme è l’umanità, cioè la bontà. Allàh l’Altissimo - il Quale ha creato tutto ciò che esiste e ha dato all’universo non umano leggi intrinseche di esistenza, a cui esso obbedisce (le leggi fisiche) - ha dato alla Creatura umana un Codice di vita particolare, in funzione del destino ultraterreno di essa. Egli l’Altissimo ha previsto e prescritto nel Sublime Corano la istituzionalizzazione sacrale della vita, della famiglia e della comunità governata dalla Sua Legge. In questa Legge è stabilito che la morte è il corrispettivo della violazione o della profanazione di queste tre istituzioni divine. Per poter meglio comprendere questa definizione bisogna tenere presente alcuni concetti base dell’ideologia islamica. L’Islàm, infatti, è la religione, in cui tutto è in perfetto equilibrio, poiché Allàh l’Altissimo ha creato tutto in perfetta stabilità e sintonia. Questo lo si può vedere in tutto ciò che ci circonda e che è pura creazione di Allàh: le montagne come peso equilibrante della crosta terrestre, il correre del tempo, il variare delle stagioni, i vari cicli della natura, i perfetti rapporti preda-predatore, lo stesso corpo umano e il suo equilibrio e la sua raffinata perfezione. Anche l’uomo, infatti, è stato creato da Allàh l’Altissimo in uno stato di estrema perfezione, ma come lo stesso Allàh ci rivela, con il passare del tempo, egli (uomo) va verso il squilibrio e quindi la decadenza. Dice Allàh l’altissimo (Sura XCV: 4-6): Invero creammo l’uomo nella forma migliore (4) Quindi lo riducemmo all’infimo dell’abiezione (5) Eccezion fatta per coloro che credono e compiono il bene […] (6) Il quinto segno (quinto versetto come equivalente proposizione biblica) ci informa della unica condizione, affinché l’uomo possa riacquistare il suo stato originale: cioè credendo in Allàh l’Altissimo e quindi a tutto ciò che Egli ha rivelato all’uomo; e compiendo il bene, cioè facendo tutto ciò che Allàh l’Altissimo ha rivelato essere bene e ordinato di fare. Inoltre, il Profeta – Che Allàh Lo Benedica e Lo Abbia in Gloria – ci insegna in varie occasioni (e in diversi Hadith) che la nozione credere comprende anche l’applicare. Per tornare un passo indietro, e in sintesi, diciamo che l’equilibrio della Creatura umana sta nel suo credere (e agire secondo questo stesso credo) a tutto (e non solo una parte) ciò che Allàh l’Altissimo ha rivelato e prescritto per questa Sua creatura: l’Uomo. Adesso possiamo fare un altro passo indietro e dire che lo Stato islamocratico, prescritto da Allàh l’Altissimo, è lo Stato, in cui tutto è in perfetto equilibrio, anche l’uomo ha da essere equilibrato, per poter accedere al Paradiso, non senza la Misericordia di Allàh. Lo squilibrio - che si può verificare nell’uomo, in conseguenza della violazione delle norme prescritte da Allàh l’Altissimo riguardo alla vita, alla famiglia e alla Ummah (Comunità) - deve essere eliminato – l’equilibrio recuperato - mediante l’applicazione delle norme stesse, su cui si basa questo ordinamento, cioè la Legge data da Allàh l’Altissimo. Per poter meglio chiarire i sopra esposti concetti, facciamo un esempio. Ammettiamo che all’interno di un ordinamento islamocratico ci sia stato un omicidio. La Legge prescrive per questo caso un regolare processo che accerti la colpevolezza dell’imputato e la sua sanità mentale. Se l’imputato è sano di mente, egli, avendo violato la prima istituzione sacra dell’Islàm, ha perso il suo equilibrio (datogli mediante la sua precedente sottomissione ad Allàh) e, quindi, la sua dignità di creatura umana. Allàh l’Altissimo ha stabilito la morte come recupero del diritto di accesso al Paradiso, poiché in questo modo l’imputato riacquista la sua dignità originale, e ritorna al suo precedente equilibrio. Infatti, dopo l’esecuzione di tale sentenza prescritta da Allàh, l’imputato, poiché si è sottomesso alla volontà e quindi legge divina, ritorna a Lui in una condizione, in cui ha riacquistato la sua dignità umana iniziale. Pertanto nel Giorno del Giudizio non gli sarà contestato il crimine di lesa maestà, da cui è stato liberato con l’applicazione della Legge divina nella sua esistenza terrena. Le eccezioni del caso sono, ad esempio, se vi fosse stato un omicidio plurimo. Poiché Allàh ha stabilito che un’anima vale il peso di un’altra anima (legge del taglione), colui che commette un omicidio plurimo, se la sentenza è la morte, questa sua sentenza vale solo per una anima di quelle uccise; mentre gli altri saranno capo d’imputazione davanti ad Allàh; e questo poiché si può morire una sola volta. Ora possiamo concludere dicendo che all’interno di un ordinamento islamocratico, la morte, prevista per coloro che violano le tre istituzioni sacre prescritte da Allàh l’Altissimo – (vita, famiglia e comunità), ristabilisce l’equilibrio, violato dal crimine. sia in colui che ha commesso il crimine, sia in colui che ne è stato vittima (in quanto viene fatta giustizia), e sia nella comunità, i cui appartenenti, mediante l’esecuzione della sentenza, vengono dissuasi dal compiere tali crimini. L’esecuzione di condanna a morte che avvenga fuori della giurisdizione dell’ ordinamento islamocratico, prescritto dal Creatore alla sua Creatura, è pena di morte in quanto chi non segue le leggi equilibranti l’uomo (rivelate da Allàh l’Altissimo) è destinato a commettere un crimine dietro l’altro.

1 commento:

soldato semplice ha detto...

Inutile raccontare le favole , sai bene che i mussulmani in Europa non hanno scopi pacifici. Quando prenderemo il potere i musulmani saranno espulsi tutti ma i convertiti verranno tutti crocefissi. Tu hai tradito Gesù, la tua famiglia e i tuoi amici solo per protesta verso il Vaticano. Ricorda nessun perdono per gli apostati. Solo pianto e stridore di denti