mercoledì 19 dicembre 2007

Cosa è l'Islàm ? A cosa invita?

Nel nome di Allàh il Misericordioso il Clementissimo


Prefazione
La lode appartiene tutta ad Allàh
il Padrone e il Signore di tutti gli universi

Quali sono i suoi obiettivi?

Questo manuale risponde alle domande, di cui sopra, in modo conciso, dando risposte semplici e veritiere, per informare il pubblico mass media-dipendente di cosa debba intendersi con la parola Islàm, con l'aggettivo che da essa deriva ( islamico/a), di cosa significhi la parola gihàd (che è parola di genere maschile, per cui nell'uso va preceduta dall'articolo il), come pure di rispondere con precisione linguistica e chiarezza concettuale a tutti i pregiudizi sull'Islàm che derivano da un lavaggio istituzionale del cervello, finalizzato alla demonizzazione occulta dell'Islàm, che prende le mosse dalle scuole elementari, se non anche in età pre-scolare. Ogni Musulmano ha il dovere di annunciare le verità dell'Islàm, smentendo le distorsioni della sua immagine e della sua realtà, che certi ambienti, interessati ad arrestarne la diffusione, ne fanno ad ogni occasione propizia alla disinformazione. Noi apriamo le porte del nostro cuore a tutti coloro che siano in grado di riflettere spassionatamente, si interessano e fanno domande per avere informazione sull'Islàm, anche da fonte (autenticamente) islamica. Ricordiamo, in ogni caso che la perfezione appartiene esclusivamente ad Allàh, rifulga lo splendore della Sua Luce, mentre l'uomo, per sua natura, è fallibile.
Wa llàhu walìyyu t-tawfìq
(Allàh è il Patrono del Successo)
autore
Hàmad Mohàmed

Reggio Emilia, 21/02/1425 dell'egira
corrispondente al dì 11 Aprile 2004.

martedì 18 dicembre 2007

Tra i Significati del Mese di Ramadan


In nome di Allàh il Misericordioso il Clementissimo


L’Islàm, come tutti sappiamo, si basa sui cinque pilastri: la professione di fede, le cinque orazioni giornaliere, la zakat (l’imposta coranica), il digiuno del sacro mese di Ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca per chi ne ha le possibilità economiche e fisiche. Il mese di Ramadan è di ventinove o trenta giorni a seconda, e fa parte del calendario islamico.
Il calendario islamico è composto da dodici mesi e contrariamente a quello gregoriano, è basato sulle varie fasi della luna, il mese inizia con l’apparire del primo riflesso della luna crescente, con la luna piena si ha metà mese, per poi finire la mensilità con l’ultimo riflesso della luna calante. Il mese di Ramadan è il mese più sacro di tutto il calendario islamico. Allàh, infatti, ha dato ad ogni arco di tempo un momento particolarmente più sacro: durante il giorno i cinque orari del rito di adorazione, durante la settimana il venerdì (il giorno festivo islamico), durante l’anno il sacro mese di Ramadan e durante la vita il pellegrinaggio alla Mecca (per chi ne ha la forza economica e fisica). Essi sono un punto di riferimento temporali che il musulmano sfrutta come momento di arresto e distaccamento dalla materia. Una tappa in cui rivedere il proprio operato, una porta metafisica per purificare l’anima chiedendo perdono per i propri errori e avvicinarsi spiritualmente all’Altissimo. Il sacro mese di Ramadan, in specifico, è il mese in cui il musulmano rinuncia ad appagare tutti i propri istinti, quali il mangiare, il bere, l’avere rapporti sessuali per ordine di Allàh. Questa astensione è di obbligo solo durante la presenza del sole nel cielo (sia che esso si veda che non), mentre cessa questo obbligo nelle ore notturne. I benefici di questo mese, per il musulmano, si traducono in benefici salutari - individuali, spirituali, sociali, mondani e ultraterreni.
L’uomo durante l’anno e nel suo continuo ed interrotto nutrirsi accumula una serie di residui maligni nell’intestino che non riescono ad essere smaltiti in quanto il nostro intestino è chiamato in continuazione a lavorare senza metterlo quasi mai nella condizione di riposo. Il digiuno dal mangiare e dal bere permette all’intestino di smaltire questi residui e di risposare. I medici, infatti, concordano e prescrivono per molti malori gastrointestinali e anche di portata più generale il digiuno. A livello spirituale il mese sacro vuole essere invece una scuola, come la chiamò un intellettuale arabo, la scuola dei trenta giorni. Questa scuola vuole educare lo spirito a perdere del suo lato materialista abituato ad appagare in continuazione tutti i propri istinti, e quindi ad allontanarla dalla malattia che vede la materia sopraffare il sentimento. Lo spirito si educa in questo mese anche alla pazienza, alla perseveranza e all’autocontrollo, permettendo così a molti di allontanarsi dai vari vizzi implicanti dipendenze materiali. Inoltre il musulmano benestante, attraverso la sua astensione dal mangiare e dal bere, valorizza nuovamente e in continuazione il dono del cibo che, normalmente nella vita quotidiana, si è esposti a dimenticarne il grande valore che il Creatore gli ha dato, trascurando così coloro che ne soffrono. Il credente musulmano, qualsiasi sia la sua classe sociale, è costretto a provare così la sofferenza del povero nel non poter mangiare e bere e questo lo porta a essere più comprensivo se non sensibile nel confronto del bisognoso.
Ricordando i problemi sociali il Profeta Muhammad (pbsl) ha ordinato ai giovani, in un hadith (detto profetico), di sposarsi giovani per chi ha il potenziale di mantenimento economico e fisico; mentre per color che non ne possiede invita a digiunare fino a che Allàh non li avrà dotati, informando che il digiuno è una prevenzione, una protezione, in quanto disciplina gl’istinti dell’uomo.
Quindi il mese di Ramadan aiuta a disciplinare lo spirito, il corpo e a guarire molte malattie individuali e sociali; oltre a questo per il credente musulmano il rispettare i suoi precetti comporta una ricompensa ultraterrena che Allàh ha promesso ai suoi credenti, dicendo in un hadith qudsi (cioè riportato dal Profeta e riferito ad Allàh): “Il digiuno è Mio, ed Io lo ricompenso, abbandonando l’uomo il proprio piacere ed il proprio mangiare e bere per Me. Il digiuno è protezione, e chi digiuna ha due piaceri: un piacere quando rompe il digiuno ed un piacere quando incontra il proprio Signore…”

domenica 16 dicembre 2007

Pena di Morte: Contro i precetti dell'Islàm

In nome di Allàh il Misericordioso, il Clementissimo


L’espressione “Pena capitale” indica l’esecuzione della sentenza di condanna morte emessa da una Autorità giudiziaria nei confronti dell’imputato di un crimine, per cui il Codice penale commina la pena morte. L’esecuzione di una condanna a morte come inflizione di una pena è concettualmente estranea all’ordinamento dello Stato islamocratico. Infatti, sia nel Sublime Corano che nella Nobile Sunna del Profeta – che Allàh Lo Benedica e Lo Abbia in Gloria – non si trova l’espressione pena di morte, ma, per il medesimo evento, troviamo il termine giazà' cioè di corrispettivo. La parola pena definisce una sofferenza fisica o morale, mentre la parola ricompensa ha tutt’altra significato. Da qui partiamo per fare una breve introduzione sul alcune caratteristiche dello Stato islamocratico. Questo tipo di stato è, per definizione, lo Stato governato mediante norme prescritte da Allàh l’Altissimo mediante la Sua Parola, che si concretizza nel Suo Libro, il Sublime Corano; e mediante la Sunna del Profeta Mohammad - che Allàh lo Benedica e lo Abbia in Gloria, in quanto investito da Allàh l’Altissimo di un autorità magistrale. L’essenza di queste norme è l’umanità, cioè la bontà. Allàh l’Altissimo - il Quale ha creato tutto ciò che esiste e ha dato all’universo non umano leggi intrinseche di esistenza, a cui esso obbedisce (le leggi fisiche) - ha dato alla Creatura umana un Codice di vita particolare, in funzione del destino ultraterreno di essa. Egli l’Altissimo ha previsto e prescritto nel Sublime Corano la istituzionalizzazione sacrale della vita, della famiglia e della comunità governata dalla Sua Legge. In questa Legge è stabilito che la morte è il corrispettivo della violazione o della profanazione di queste tre istituzioni divine. Per poter meglio comprendere questa definizione bisogna tenere presente alcuni concetti base dell’ideologia islamica. L’Islàm, infatti, è la religione, in cui tutto è in perfetto equilibrio, poiché Allàh l’Altissimo ha creato tutto in perfetta stabilità e sintonia. Questo lo si può vedere in tutto ciò che ci circonda e che è pura creazione di Allàh: le montagne come peso equilibrante della crosta terrestre, il correre del tempo, il variare delle stagioni, i vari cicli della natura, i perfetti rapporti preda-predatore, lo stesso corpo umano e il suo equilibrio e la sua raffinata perfezione. Anche l’uomo, infatti, è stato creato da Allàh l’Altissimo in uno stato di estrema perfezione, ma come lo stesso Allàh ci rivela, con il passare del tempo, egli (uomo) va verso il squilibrio e quindi la decadenza. Dice Allàh l’altissimo (Sura XCV: 4-6): Invero creammo l’uomo nella forma migliore (4) Quindi lo riducemmo all’infimo dell’abiezione (5) Eccezion fatta per coloro che credono e compiono il bene […] (6) Il quinto segno (quinto versetto come equivalente proposizione biblica) ci informa della unica condizione, affinché l’uomo possa riacquistare il suo stato originale: cioè credendo in Allàh l’Altissimo e quindi a tutto ciò che Egli ha rivelato all’uomo; e compiendo il bene, cioè facendo tutto ciò che Allàh l’Altissimo ha rivelato essere bene e ordinato di fare. Inoltre, il Profeta – Che Allàh Lo Benedica e Lo Abbia in Gloria – ci insegna in varie occasioni (e in diversi Hadith) che la nozione credere comprende anche l’applicare. Per tornare un passo indietro, e in sintesi, diciamo che l’equilibrio della Creatura umana sta nel suo credere (e agire secondo questo stesso credo) a tutto (e non solo una parte) ciò che Allàh l’Altissimo ha rivelato e prescritto per questa Sua creatura: l’Uomo. Adesso possiamo fare un altro passo indietro e dire che lo Stato islamocratico, prescritto da Allàh l’Altissimo, è lo Stato, in cui tutto è in perfetto equilibrio, anche l’uomo ha da essere equilibrato, per poter accedere al Paradiso, non senza la Misericordia di Allàh. Lo squilibrio - che si può verificare nell’uomo, in conseguenza della violazione delle norme prescritte da Allàh l’Altissimo riguardo alla vita, alla famiglia e alla Ummah (Comunità) - deve essere eliminato – l’equilibrio recuperato - mediante l’applicazione delle norme stesse, su cui si basa questo ordinamento, cioè la Legge data da Allàh l’Altissimo. Per poter meglio chiarire i sopra esposti concetti, facciamo un esempio. Ammettiamo che all’interno di un ordinamento islamocratico ci sia stato un omicidio. La Legge prescrive per questo caso un regolare processo che accerti la colpevolezza dell’imputato e la sua sanità mentale. Se l’imputato è sano di mente, egli, avendo violato la prima istituzione sacra dell’Islàm, ha perso il suo equilibrio (datogli mediante la sua precedente sottomissione ad Allàh) e, quindi, la sua dignità di creatura umana. Allàh l’Altissimo ha stabilito la morte come recupero del diritto di accesso al Paradiso, poiché in questo modo l’imputato riacquista la sua dignità originale, e ritorna al suo precedente equilibrio. Infatti, dopo l’esecuzione di tale sentenza prescritta da Allàh, l’imputato, poiché si è sottomesso alla volontà e quindi legge divina, ritorna a Lui in una condizione, in cui ha riacquistato la sua dignità umana iniziale. Pertanto nel Giorno del Giudizio non gli sarà contestato il crimine di lesa maestà, da cui è stato liberato con l’applicazione della Legge divina nella sua esistenza terrena. Le eccezioni del caso sono, ad esempio, se vi fosse stato un omicidio plurimo. Poiché Allàh ha stabilito che un’anima vale il peso di un’altra anima (legge del taglione), colui che commette un omicidio plurimo, se la sentenza è la morte, questa sua sentenza vale solo per una anima di quelle uccise; mentre gli altri saranno capo d’imputazione davanti ad Allàh; e questo poiché si può morire una sola volta. Ora possiamo concludere dicendo che all’interno di un ordinamento islamocratico, la morte, prevista per coloro che violano le tre istituzioni sacre prescritte da Allàh l’Altissimo – (vita, famiglia e comunità), ristabilisce l’equilibrio, violato dal crimine. sia in colui che ha commesso il crimine, sia in colui che ne è stato vittima (in quanto viene fatta giustizia), e sia nella comunità, i cui appartenenti, mediante l’esecuzione della sentenza, vengono dissuasi dal compiere tali crimini. L’esecuzione di condanna a morte che avvenga fuori della giurisdizione dell’ ordinamento islamocratico, prescritto dal Creatore alla sua Creatura, è pena di morte in quanto chi non segue le leggi equilibranti l’uomo (rivelate da Allàh l’Altissimo) è destinato a commettere un crimine dietro l’altro.

La Prova dell’Inesistenza di Dio

In nome di Allàh il Misericordioso il Clementissimo

Nonostante io non sia un ateo concordo con lo scrittore bolognese Stefano Benni quando dice "Io non so se Dio esiste, ma se non esiste ci fa una figura migliore"; solo che io, al contrario del signor Benni, so di certo che Dio non esiste! Questa affermazione per quanto strana può sembrare è la verità. Dio, o meglio Iddio l'Uno, l'Unico e l'Unipersonale a cui i musulmani si prostrano per più di cinque volte al giorno, non esiste; eppure comprendere questa apparente contraddizione è molto semplice. Cominciamo ad analizzare il concetto di esistenza che si è soliti, i religiosi e la gente comune intendo, attribuire al Creatore. Esistenza è una parola che deriva dal latino ed è così composta: ex più sintentia, ovvero avere l'essere da un altro. Qui si spiega il motivo della falsa frase che sostiene l'esistenza di Dio. In altre parole, se Dio esiste allora esso dipende da un altro superiore a lui; e se dio esiste vuol dire che egli ha avuto un'inizio e avrà una fine; e se dio esiste allora vuol dire che appartiene all'esistenza e quindi è assoggettato al tempo e tutto ciò che ne consegue. Per tanto e come Iddio stesso si definisce nel Sublime Corano, Iddio E'; Egli è l'Essenza, Egli non appartiene all'esistente ma è il Creatore dell'esistenza stessa. D'altro canto c'è da dire che, all'infuori dell'Islàm, tutte le religioni credono in degli dei che esistono; quindi noi rispettiamo a fondo, anche se non condividiamo, il loro credo! Per l'Islàm ogni dottrina che vuole provare l'esistenza di Iddio è, per quanto esplicitato prima, priva di veridicità.
Fatto questo primo passo, ora possiamo passare alla dimostrazione pratica della non esistenza di Iddio, o meglio ancora della Sua Essenza come Creatore dell'Universo.
Recenti studi sociologici hanno portato alla dimostrazione che tutte le nozioni che apprendiamo e che noi riusciamo a comprendere mentalmente hanno tutti una fonte sola, ovvero l'esperienza. Può essere l'esperienza diretta o indiretta, come ad esempio la nozione di partorire o di nascere, di mangiare o dormire... sono tutte nozioni che hanno la stessa fonte.
Rimane un solo dilemma: due nozioni non rientrano nella nostra esperienza e di cui noi comunque ne abbiamo coscienza. Sono la nozione di creare e nulla. Infatti al 'creare' come significante, si associa il significato di produzione di qualcosa mediante un semplice atto di volontà (per chi non ci crede può visionare il vocabolario), mentre il significante nulla sempre per i vocabolari vuol dire nessuna cosa. Ora nessuno mai ha prodotto niente dal nulla mediante un atto di volontà, mentre non abbiamo nemmeno l'esperienza del nulla in quanto abbiamo solamente l'esperienza del concetto del niente (noi diciamo non c'è niente, ma qualcosa sappiamo che c'è: l'aria). Quindi bisogna supporre che ci sia un'altra fonte da cui apprendiamo queste nozioni che non sia solo l'esperienza, altrimenti non si riuscirebbe a comprendere la provenienza di questi due concetti. Andando a rivedere nei più antichi testi in cui sono riportate queste due nozioni si scopre che i primi libri di cui abbiamo traccia e che li contengono sono i tre libri sacri dei monoteisti: la Torah, il Vangelo e il Sublime Corano. Tutte tre questi testi riportano queste due nozioni spiegandone il concetto, quindi si può dire con certezza che Colui che ha 'scritto' questi libri non è certo mano di creatura umana; ma come sostengono gli stessi testi di essere, sono ispirati e dettati dall'Essenza, da Egli, da Colui che ha creato i Cieli e la Terra.
Allàh l’Altissimo dice nel Sublime Corano riferendosi alla provenienza dello stesso Libro:

La rivelazione del Libro proviene da Allah,
l'Eccelso, il Saggio. [Corano, XLVI:2]

Sul Vangelo Egli dice:

Mandammo poi sulle loro orme i Nostri messaggeri e mandammo Gesù figlio di
Maria, al quale demmo il Vangelo. Mettemmo nel cuore di coloro che lo seguirono
dolcezza e compassione; il monachesimo, invece, lo istituirono da loro stessi,
soltanto per ricercare il compiacimento di Allah. Non fummo Noi a prescriverlo.
Ma non lo rispettarono come avrebbero dovuto. Demmo la loro ricompensa a quanti
fra loro credettero, ma molti altri furono empi . [Corano, LVII:27]

Riferendosi invece alla Torah:

Facemmo scendere la Torâh, fonte di guida e di luce. Con essa giudicavano
tra i giudei, i profeti sottomessi ad Allah, e i rabbini e i dottori:
[giudicavano] in base a quella parte dei precetti di Allah che era stata loro
affidata e della quale erano testimoni. Non temete gli uomini, ma temete Me. E
non svendete a vil prezzo i segni Miei. Coloro che non giudicano secondo quello
che Allah ha fatto scendere, questi sono i miscredenti. [Corano, V:44]

Mentre per quanto riguarda la Creazione dicono questi versetti:

Benedetto Colui nella Cui mano è la
sovranità, Egli è onnipotente;
Colui Che ha creato la morte e la vita per
mettere alla prova chi di voi meglio opera, Egli è l'Eccelso, il Perdonatore;
Colui Che ha creato sette cieli sovrapposti senza che tu veda alcun difetto
nella creazione del Compassionevole. Osserva, vedi una qualche fenditura?
Osserva ancora due volte: il tuo sguardo ricadrà, stanco e sfinito .[Corano,
LXVII:1-4]