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venerdì 14 novembre 2008

Lettera al Presidente Napolitano

Nel nome di Allàh il Misericorde il Clementissimo

Di seguito la lettera della sorella Sumaya al Presidente della Repvbblica.

Al mio Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano

Caro Presidente

Le scrivo per esprimerLe gioia ed emozione, malinconia ed amarezza.

I primi due sentimenti nascono dal suo storico incontro con i nuovi italiani, incontro in cui, forse, per la prima volta un’Istituzione così importante riconosce come tali.

I secondi sentimenti invece nascono dalla delusione di non poter far parte, sulla carta, di quel gruppo di giovani.

Nata in Italia, a Perugia, 30 anni fa. Per un disguido burocratico che ha creato una interruzione di 3 mesi nella residenza mia e delle mie sorelle sul suolo italiano, abbiamo perso la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana per diritto di nascita.

Ma non parlerò delle difficoltà che tale situazione ci ha creato negli anni, tra rinnovi dei permessi di soggiorno, gite perse all’estero a scuola o con amici, lavori impossibili da ottenere e così via.

No.

Le voglio parlare dell’amore che provo per questo Paese, della voglia di farne parte comunque, sempre, al Suo servizio, fedele e cosciente.

L’Italia ha accolto i miei genitori giovanissimi. Il suo popolo li ha curati, cresciuti, amati. La sua gente ha accolto noi figli. Ci ha amati, cresciuti, educati.

Noi abbiamo risposto. Amando l’Italia, abbracciando i suoi principi e la sua cultura.

Si, abbiamo radici altrove (che vogliamo curare e valorizzare come ricchezza e elemento aggiunto alla nostra identità), ma tutto il nostro tronco e i nostri rami sono qui. Qui i nostri frutti cresceranno, cadranno, doneranno nuovi semi che daranno nuova energia al grande e meraviglioso ciclo della vita.

Caro Presidente, mi auguro che il Suo appello di serietà, rispetto, considerazione e “investimento” sui nuovi italiani, giunga al cuore di chi questo Paese lo guida e lo proietta verso il futuro. Un futuro che deve dar spazio a tutti, nel rispetto dei diritti umani chiedendo in cambio il giusto dovere civico e non solo.

Noi, nuovi italiani (anche se non tutti confermati sulla carta) siamo in “piena identificazione con i valori di storia e di lingua, e con i principi giuridici e costituzionali che sono propri della nostra nazione e del nostro Stato democratico”.

Chiediamo di essere riconosciuti, con più facilità e in tempi ragionevoli, non dimenticando che una fascia significativa dei potenziali nuovi italiani sono figli di immigrati nati e cresciuti nel nostro Paese, a maggior ragione con il diritto di ritrovarsi inseriti ufficialmente tra i cittadini italiani.

Chiediamo di naturalizzare il nostro essere italiani anche se ne siamo un po’ una rivisitazione.

Concedere e riconoscere tutto ciò non solo sulla carta ma anche socialmente e civilmente, evitando la creazione di ghettizzazione, l’esclusione sociale e i cittadini di serie B.

Chiediamo un modello italiano di cooperazione, interazione e interdipendenza che faccia dell’Italia un esempio per tutto il mondo. Siamo ancora in tempo.

Per una antica legge della natura, i caratteri nuovi sono spesso motivo di forza, innovazione, propulsione in avanti e perché no una risposta alle sfide del futuro.

Fedele alla Repubblica e alla Patria italiana e in attesa che essa mi riconosca come sua nuova figlia, auguro a Lei e a tutte le donne e gli uomini che scelgono il bene e respingono il male, serenità, armonia, pace e amore.

Sumaya Abdel Qader